Questa vendita all’asta di Philobiblon Bloomsbury sarebbe piaciuta molto a Umberto Eco. Infatti, avevamo un’intesa perché fosse proprio lui ad aggiudicare il primo lotto del capitolo delle Wunderkammern… Purtroppo, ci ha lasciati poco prima di poterci onorare ancora una volta della sua presenza ai nostri eventi, né ha potuto tagliare il nastro alla Mostra del Libro Antico. Quest’asta gli sarebbe interessata non tanto per poter acquistare: infatti – se non ricordo male – sono solo due i testi di Kircher e tre i libri dei gabinetti delle curiosità (come si chiamano in una poco felice espressione italiana…) che mancavano alla sua formidabile biblioteca di Piazza Castello. Gli sarebbe piaciuta proprio perché la maggior parte dei 77 selezionati lotti proposti trattano di falsi o di mistificazioni: il grande gesuita Athanasius Kircher – pur definito “maestro in un centinaio d’arti” – amava accostare ad alcune dotte nozioni scientifiche una marea di straordinarie notizie inventate di sana pianta e di stravaganti frodi, dalla mappa di Atlantide all’esatta descrizione dell’Arca di Noé e della Torre di Babele, alla traduzione dei geroglifici. «Sono sempre stato affascinato dal problema del falso», diceva Eco, «per cui sbaglia chi mi annovera tra i relativisti, perché se uno si occupa del falso è perché è convinto che qualche cosa di vero c’è … Mi ha sempre attratto il testo falso che a causa della credulità altrui o per ragioni di sfruttamento politico incide nella storia».
E che dire delle opere che descrivono le Wunderkammern, che costituirono nel Seicento un vero e proprio tentativo di viaggiare senza muoversi, ricostruendo l’universo in una stanza, un luogo ideale capace di restituire una visione simultanea della molteplicità del creato, al limite mistificandone l’apparenza secondo un personale schema organizzativo. Questi libri descrivono tutto ciò che appariva anomalo e mostruoso, esemplari spesso falsi, fabbricati ad arte assemblando tra loro parti di animali differenti o alterandone le sembianze; con materiali stravaganti, errori di proporzione, ibridazioni con altri manufatti antichi. Ne Il pendolo di Foucault (forse il romanzo che Eco ha più amato, certamente più de Il Nome della Rosa, che sosteneva di odiare…) descrive lo studio dell’avido Agliè, come una stanza «ampia… arredata con squisite scaffalature d’antiquariato, ricolme di libri ben rilegati» e arredata con «alcune vetrinette ricolme di oggetti incerti, pietre ci parvero, e piccoli animali, non capimmo se impagliati o mummificati o finemente riprodotti… un piccolo teatro… alla maniera di quelle fantasie rinascimentali dove si disponevano delle enciclopedie visive, sillogi dell’universo. Più che un’abitazione, una macchina per ricordare. Non v’è immagine … che, combinandosi dovutamente con altre, non riveli e riassuma un mistero del mondo». Persino nell’ultima sezione dell’asta – oltre ad un rarissimo libretto sulla battaglia di Montaperti – possiamo trovare alcuni libri di interesse “echiano”: opere di alchimia, ermetismo, steganografia. Sempre Eco sosteneva: “La curiosità qualche volta ti porta alla ricerca del Vero. Altre volte a cercare, con altrettanto stupore, il Falso. La mia collezione di libri antichi contiene opere che dicono il falso. Non ho volumi di Galileo, ma di Tolomeo. Mi piace indagare sulle bizzarrie dell’intelletto umano”.